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Il dolore della perdita
Malattia, morte prematura, malori improvvisi, complicazioni in gravidanza: non siamo mai pronti al distacco di una vita che portiamo in grembo, che abbiamo deciso di abbracciare per sempre o che ci ha generato a sua volta. Viviamo e pensiamo come se fossimo immortali: l’idea della morte provoca angoscia, smarrimento e tristezza. Ci poniamo sempre molte domande sul senso della vita, sui perché della sofferenza e le sue cause, che attribuiamo a qualcuno che sta al di sopra di noi e che si è accanito sulla nostra famiglia.
Se pensassimo che tutto ha una fine, non esisterebbe nulla, non faremmo quel primo passo che spalanca le porte a momenti indimenticabili e bellissimi della nostra esistenza. Avremmo potuto decidere di vivere da soli, di non mettere al mondo dei figli, di vagare nello spazio mondo ciascun per sè. Abbiamo insito in noi, invece, l’attrazione alla vita di gruppo, collettiva e ci sentiamo rincuorati nel far parte di una micro comunità all’interno della quale manifestare il nostro ruolo e portare un pò di noi stessi per la crescita comune. Inevitabile, in questo senso, non creare dei legami forti come in una famiglia.
Se pensassimo che tutto ha una fine, non esisterebbe nulla, non faremmo quel primo passo che spalanca le porte a momenti indimenticabili e bellissimi della nostra esistenza.
Siamo pezzi di un puzzle che a volte si perdono sotto cumuli di polvere, ma tornano sempre a ricomporre quell’unità di cui fanno parte. Quando il pezzo si perde definitivamente, tutto cambia, in noi e nel nucleo di appartenenza. Purtroppo, quotidianamente, dobbiamo scontrarci con le notizie di cronaca che ci raccontano di vite smorzate sul nascere, di incidenti che coinvolgono ragazzi, adolescenti.
Siamo pezzi di un puzzle che a volte si perdono sotto cumuli di polvere, ma tornano sempre a ricomporre quell’unità di cui fanno parte.
Quelli di noi, che nella cerchia delle proprie conoscenze hanno affrontato il dolore di un amico per la perdita di un familiare, sanno che non si è mai pronti nè a subire, nè a confortare. C’è smarrimento: anche nel contesto di una malattia prolungata, l’accettazione della perdita è un processo lento, personale a cui un esterno non può accedere con semplicità. Non siamo nemmeno ben consci dell’affetto che ci lega a una persona, finché questa viene a mancare: seppur l’idea dell’amarsi con distacco e volere la felicità dell’altro sia ai nostri occhi il modo migliore per costruire delle relazioni, quando la realtà piomba sulle nostre teste come una tegola nel deserto, niente ha più senso. Non vediamo più il suo corpo, non sentiamo più la sua voce, non percepiamo i suoi passi che sopraggiungono: la sua presenza era così importante che ora il vuoto ci toglie il fiato.
Non siamo nemmeno ben consci dell’affetto che ci lega a una persona, finché questa viene a mancare: seppur l’idea dell’amarsi con distacco e volere la felicità dell’altro sia ai nostri occhi il modo migliore per costruire delle relazioni, quando la realtà piomba sulle nostre teste come una tegola nel deserto, niente ha più senso.
Ma che cosa ci aiuta a guardare avanti? La consapevolezza che ogni vita ha il suo valore, già perché è esistita, non così a lungo come avremmo desiderato, ma lo è stato; la luce dei genitori che amano un neonato, si industriano per lui nel trovare le cure migliori alla sua patologia e inevitabilmente lo perdono, è il segno tangibile che possiamo sperare in un futuro in cui le giovani generazioni non saranno abbandonate a loro stesse e alla perdita di valori, ma cercando, troveranno i frutti di questi semi, profondamente dolorosi, ma apparentemente così belli.