Per offrirti una migliore esperienza questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Per saperne di più e per gestire le tue preferenze consulta la Privacy policy
Siamo mamme e papà e andiamo all'università
Genitori in Ateneo è un’idea lontana dalla realtà italiana che non sostiene le mamme e i papà che vorrebbero affrontare gli studi anche con i figli a carico. Sembra incredibile, ma in alcuni stati europei giovani genitori frequentano l’università – con tutte le fatiche del caso – e non è così strano vederli arrivare a lezione insieme al proprio pargoletto.
Non è frutto di un film fantascientifico, ma è quello che accade nella maggior parte degli atenei tedeschi in cui le politiche adottate permettono ai neo genitori, o alle mamme incinta, di concludere il proprio percorso di studi. La società intera coopera affinché la famiglia sia tutelata e lo studio sia parte integrante dell’età adulta al quale tutta la famiglia partecipa. Il periodo in cui si frequenta l’università è uno dei più intensi e belli per una persona che sceglie questo percorso, ma siamo abituati a credere che non sia il luogo adatto a una mamma o a un papà. Normalmente li giudicheremmo quali genitori poco responsabili o penseremmo che abbiano un tenore di vita che permette loro di non lavorare e investire sulla formazione. Si tratta di scelte impegnative e coraggiose, fuori dagli schemi, ma probabilmente, anche un segno dei tempi. Siamo convinti che la nostra esistenza proceda per gradi: finito il periodo scolastico inizia quello lavorativo, il matrimonio, i figli. Stiamo forse solo analizzando la questione dallo spioncino di una porta che non abbiamo ancora spalancato, ma che se aprissimo rivelerebbe tutt’altro modo di pensare e ragionare intorno alla società in cui viviamo e alla vita che conduciamo. Spesso una ragazza che diventa madre durante il periodo universitario nutre il desiderio di concludere il suo percorso e chi si affaccia al mondo del lavoro dopo un periodo di maternità necessita di alcuni corsi e aggiornamenti per riprendere professionalmente il proprio incarico. Nei Paesi in cui, a livello statale, vengono adottate misure per permettere ai genitori di frequentare l’università succede che all’interno dei campus sia possibile accompagnare il proprio figlio all’asilo nido, alla scuola dell’infanzia, o sia previsto un servizio di baby sitting. Altresì, l’impegno dei docenti è serio ed efficiente e permette ai genitori di seguire un programma prestabilito, in cui gli orari sono rispettati, e la sospensione delle lezioni è inteso come una mancanza di rispetto verso gli studenti. I neo genitori,poi, possono anche interrompere il corso di studi per il periodo adeguato alla crescita del neonato o frequentare part-time. Essi ricevono, inoltre, un contributo mensile, per il sostegno economico del percorso accademico. La società tiene particolarmente alla formazione dei suoi cittadini e contemporaneamente permette, a chi desidera un figlio, di non limitare le proprie aspettative a livello formativo. Ma quando un figlio è una limitazione? Mai, risponderemmo. Idealmente la famiglia concorre a restituire al contesto sociale in cui è inserita nuova linfa, energia, idee e i figli sono il mezzo attraverso il quale questo si può realizzare. Immaginiamo, dunque, che noi stessi e molti tra i nostri conoscenti avrebbero dedicato ancora tempo allo studio accedendo a un aiuto economico, agevolati da una politica volta al sostegno e allo sviluppo della famiglia e dei minori a carico solo se questa effettivamente esistesse. Altri, in condizioni favorevoli, frequenterebbero corsi di formazione in concomitanza al lavoro consapevoli dell’importanza di essere aggiornati professionalmente in qualsiasi campo si svolga la propria attività. E’ necessario rivedere il ruolo dell’Università nel contesto sociale: un luogo in cui si educhi soprattutto alla vita adulta, all’impegno costante e non un passatempo relax frequentato per allungare il divario tra ciò che resta del mio io adolescente e l’adulto che sarò. Un’università che garantisca un servizio per tutta la comunità e non un’élite culturale sconnessa dai reali bisogni dei suoi utenti.